Era una tranquilla domenica mattina di fine estate – il 26 settembre del 1976, quando, all’incirca alle 10, un tremendo boato terrorizzò Manfredonia.
Nello stabilimento dell’Anic era esplosa la colonna di lavaggio dell’anidride carbonica dell’impianto preposto alla produzione dell’ammoniaca. Dalla torre sventrata si sprigionò una nube tossica che in breve tempo si riversò nei campi circostanti e nel rione Monticchio, il più vicino alla fabbrica, ubicata a poche centinaia di metri dall’abitato.
I danni provocati alla salute degli operai, degli abitanti e dell’ambiente furono molto ingenti, non solo per l’incidente in quanto tale, ma anche per la scellerata decisione dei vertici aziendali di minimizzare quanto era accaduto.
Gli operai vennero fatti entrare regolarmente in fabbrica il giorno successivo e vennero adibiti alla pulizia dei micidiali residui lasciati dall’esplosione, a mani nude, senza alcuna protezione. Si verificò la moria di centinaia di capi di bestiame che avevano ingerito il veleno fuoriuscito dalla colonna esplosa. Le scorie vennero sotterrate, provocando l’inquinamento del suolo.
Il drammatico incidente provocò una svolta nella storia dell’industria e dell’economia di Manfredonia e della Capitanata. Da allora, niente fu come prima.
La deflagrazione frustrò le speranze di quanti avevano pensato che l’insediamento del petrolchimico potesse spianare la strada all’industrializzazione di Manfredonia e della Capitanata. Mise a nudo i limiti e le distorsioni di un modello di sviluppo fragile e contraddittorio, di cui proprio lo stabilimento sipontino era il simbolo più controverso.
Qualche anno prima, la decisione dell’Eni di localizzare ai piedi del Gargano uno stabilimento petrolchimico aveva suscitato polemiche feroci. In un articolo comparso nel 1967 sull’Espresso, dall’emblematico titolo L’ENI a Manfredonia: una ghigliottina per il Gargano, Bruno Zevi lo aveva definito “un atto masochistico”, tanto più che proprio l’Eni in quegli stessi anni aveva puntato molte carte sulla valorizzazione turistica del promontorio garganico costruendo il villaggio di Pugnochiuso, a Vieste.
L’Archivio della Memoria Ritrovata rende disponibile una galleria fotografica estratta dall’archivio dell’Unità. Alcune foto sono impressionanti: una mostra distintamente la colonna di lavaggio praticamente distrutta dalla deflagrazione; in un’altra si vedono gli operai preposti alle operazioni di decontaminazione.
Guarda la galleria fotografica di questo evento.
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