A Roma, a ridosso della via Appia Antica, vicino dove alle catacombe dei primi cristiani vi è un luogo che provoca in chi lo visita forte dolore e grande struggimento.
Si tratta delle Fosse Ardeatine.
La sensazione di angoscia che vi prende, una volta che abbiate attraversato il cancello bronzeo e vi siate inoltrati lungo spoglie gallerie dove è stata perpetrata una delle più feroci rappresaglie del periodo nazista e fascista, si trasforma in orrore di fronte alla grande sala coperta dove sono allineate le tombe delle 335 vittime di una violenza cieca ed oscena.
E questo sentimento non muta, né trova sollievo, nel passeggiare attraverso i viali del parco che circonda e comprende questo luogo di orrore e di morte.
Orrore.
Vergogna e infamia per chi perpetrò quel massacro e per quanti (fascisti e nazisti), furono la causa prima e fondamentale di quello e di tanti altri massacri realizzati in nome di ideologie perverse e feroci che hanno segnato profondamente la linea mediana del secolo scorso. Vergogna e infamia che restano una pagina indelebile, oscura e terribile di quegli anni del secolo scorso.
Fra le 335 tombe vi sono anche quelle di 4 persone della nostra provincia: Umberto e Bruno Bucci (padre e figlio) di Lucera, Ugo Stame di Foggia, Teodato Albanese di Cerignola.
I lucerini Umberto e Bruno Bucci si trovavano a Regina Coeli da 48 giorni. Erano stati traditi da un vicino di casa, che li aveva segnalati per “attività sovversiva e riunioni sediziose”. Antifascisti da sempre, ferventi sostenitori della libertà e della democrazia, attivissimi collaboratori delle squadre armate del Partito d’Azione, non potevano essere più sovversivi di così, in un periodo in cui l’invasore tedesco dettava la sua legge barbara in modo incontrastato e anche parlare al telefono con i propri cari era considerato illegale.
Sorpresi nel sonno nella notte del 3 febbraio 1944 dalla banda fascista Kock, selvaggiamente picchiati e condotti alle prigioni di via Tasso, furono torturati per due giorni e lasciati in balia della furia cieca degli squadristi, prima di essere trasferiti a Regina Coeli. Attivissimi collaboratori delle squadre armate del Partito d’Azione durante il periodo clandestino, già prima avevano svolto un’appassionata opera di propaganda e di organizzazione, specie nella loro terra natìa, Lucera. Furono insieme arrestati, insieme rinchiusi nella cella 577 di Regina Coeli, insieme prelevati il fatale 24 marzo e insieme portati alla morte.
Ugo Stame sin da giovane, invogliato da amici e parenti, che riconoscevano le sue qualità canore, iniziò la sua carriera artistica di tenore lirico, trasferendosi a Roma ed esibendosi al Teatro dell’Opera. In Via dei Volsci, nella zona di San Lorenzo, una targa posta dai suoi compagni ricorda la casa in cui abitò prima di entrare in clandestinità. Sin da giovane che cominciò a manifestare il suo antifascismo non aderendo al PNF (Partito Nazionale Fascista) e già per questo venne arrestato dalla Polizia nel 1939 proprio al “Teatro dell’Opera” mentre sta provando la “Turandot” di Giacomo Puccini e, in seguito, dopo 4 mesi di prigione, venne segnalato come Sorvegliato Speciale. Richiamato alle armi, come Sergente Maggiore della Regia Aeronautica, dopo l’armistizio dell’8 settembre, anziché continuare la carriera di tenore e fuggire negli USA (dove era già in programma una tournée), decise di rimanere nella Capitale, arruolandosi nel gruppo clandestino di Resistenza “Movimento Comunista d’Italia – Bandiera Rossa”. Il 24 gennaio 1944 venne arrestato, condotto in via Tasso, torturato e condannato dal Tribunale Speciale Tedesco al carcere duro in Germania (condanna respinta dal feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring), quindi venne trasferito al carcere di Regina Coeli. Qui venne prelevato per essere ucciso alle Fosse Ardeatine assieme ad altri 334 uomini il 24 marzo 1944. Assieme a quello di altre 37 vittime dell’eccidio, il suo corpo rimase orrendamente decapitato dal colpo di arma da fuoco esploso dalla S.S. che lo uccise, come verificato al momento del recupero dei resti, dopo la liberazione di Roma.
Teodato Albanese, avvocato, cattolico, nato a Cerignola. Attivo membro dell’Unione Nazionale si occupò della edizione del giornale clandestino del suo partito; impegnato attivamente nella raccolta fondi per la Resistenza, nel suo studio si svolgevano regolarmente riunioni clandestine. La sera del 26 gennaio, dopol’arresto di vari compagni di fede, ebbe il tempo di avvisare tutti gli altri membri della resistenza del suo gruppo, ma non di salvare se stesso. Venne arrestato proprio nel suo studio e portato a Regina Coeli. Da qui, il 24 marzo 1944 condotto al luogo del suo martirio e a quello degli altri 334 compatrioti.
Eterno onore a questi martiri della Libertà !
Michele Casalucci (presidente Anpi Foggia, vicepresidente vicario Anpi Capitanata)
0 Comments