Sono guarita dal Covid e ringrazio il sistema sanitario pubblico

Nata e cresciuta nel centro di Tolentino, ha lavorato per 40 anni alla Gabrielli e ha sostenuto tante battaglie e lotte sindacali per difendere i lavoratori e tutelare i loro diritti. Anna Alfei, 79 anni il prossimo 15 giugno, ha dovuto rispolverare la sua battagliera tenacia per sconfiggere il nemico comune: il Covid

Potremmo dire che è una specie di “reduce” di questa patologia, dribblata con una serie convergente di eventi positivi: le sapienti cure ricevute, la determinazione nel non lasciarsi sopraffare, le premure dei familiari e del personale sanitario. Che sia guarita bene lo testimoniano due fattori: la voce squillante con cui ci ha raccontato la sua storia e la lucidità di pensiero.

Raccontaci come è andata…
“I primissimi giorni di marzo pensavo di avere l’influenza, ma quando ho visto che non passava con le cure abituali, mi è sorto il grande dubbio: stai a vedere che il Covid è venuto a farmi visita. Poi la trafila consueta: medico di famiglia, ambulanza, ospedale di Macerata. Anzi, per essere più precisi, i primi 4/5 giorni, per mancanza di posti, dentro uno dei container adibiti per il Covid, poi trasferimento al reparto. In totale un paio di settimane di terapia, la guarigione e il ritorno a casa”.

Molto sintetica, ma sappiamo che qualche problemino c’è stato…
“Nonostante il mio carattere ottimista, specie nei primi giorni non ero sicura che ce l’avrei fatta. Stare nel container mi dava una sensazione negativa. Anche se non riuscivo a vedere cosa accadeva intorno, sentivo voci non piacevoli: si parlava di quelli che erano morti. Come corollario, la solitudine e il distacco obbligato dai familiari, le ore che non passavano mai e il cervello che continuava a lavorare e, non sempre, chiudeva con risultati positivi e paralleli al mio abituale ottimismo”.

Ti sei aiutata soltanto con la forza di volontà?
“No. Anzi. Debbo essere sincera: mi hanno aiutato tutti, a partire dai volontari della C.R.I. che sono venuti a prendermi e riportata a casa dopo la guarigione, ai sanitari ed al personale infermieristico e parasanitario. Tutti bravi, anzi bravissimi ed attenti. A loro debbo non solo il superamento della patologia, ma anche il sostegno e la vicinanza umana. Con più di un anno di esperienza sulle spalle nella lotta contro il Covid, hanno compreso che anche un sorriso diventa terapeutico e ti ridà lo slancio e la voglia di tornare all’ottimismo. Sono stati tutti cari e mi piacerebbe citarli uno per uno, ma rischierei di saltare qualche nominativo e sarebbe ingiusto. Un abbraccio a tutti, allora! Un episodio, però, voglio sottolinearlo: quando sono stata riaccompagnata a casa, i ragazzi della C.R.I. hanno voluto assicurarsi che non avrei avuto problemi di nessun tipo, a partire dalla terapia per finire con i consigli a me ed ai familiari per agevolare un recupero totale, certo ed il più efficace possibile”.

Un bel mix che ti ha portato a vincere la tua battaglia contro il Covid, ma che suggerimento daresti agli altri?
“Credo sia fondamentale la volontà di riprendersi, di fidarsi delle terapie e del sorriso e dell’umanità di chi ti assiste e cura. Poi ognuno di noi ha un carattere diverso, frutto per lo più delle esperienze avute … È importante la voglia di lottare.

A proposito di lotte, il tuo pluriennale impegno sindacale ti ha maturato?
“Penso di sì. Durante i quarant’anni trascorsi alla Gabrielli ho lottato per i dipendenti, specie quando ero nella RSU. Ho quasi 79 anni, ma sono ancora nel direttivo della Lega di Tolentino dello Spi-Cgil. Purtroppo, molti di noi sono venuti meno e mi sembra giusto ricordarli con affetto, onorandoli doverosamente quali co-protagonisti della ricostruzione e del radicamento popolare della nostra Costituzione democratica”.

tratto da “https://www.libereta.it

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